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L'insediamento di età preistorica di Case Bastione (Villarosa, Enna)
L'insediamento di Case Bastione, situato nel territorio di Villarosa (EN) a circa 12 km a nord-ovest di Enna, lungo la valle del fiume Morello, uno dei principali tributari dell'Imera meridionale, è stato individuato nel 2001 con il rinvenimento su una vasta area materiali archeologici databili a un periodo compreso tra il Neolitico finale (facies di Diana, IV mill. a.C.) e il Bronzo medio (facies di Thapsos, metà II mill. a.C.). Il sito venne quindi abbandonato per essere rioccupato, a partire dal VI sec. d.C., in età tardo-antica e bizantina. Case Bastione, insieme con i vicini siti di Monte Giulfo, Contrada Gaspa e Canalotto, quest'ultimo in territorio di Calascibetta, è stato inserito nel progetto “Recupero, tutela, restauro e aumento della fruibilità delle aree archeologiche della Valle del Morello” finanziato nell'ambito del PIT 11.496 , Intervento 2.7 del POR Sicilia 2000-2006. Nel 2007 è stato possibile acquisire l'area archeologica al demanio del Comune di Villarosa e condurre una prima campagna di scavi a cura della Soprintendenza BB.CC.AA. di Enna in collaborazione con il Comune di Villarosa. Una seconda breve campagna di scavo è stata poi condotta a cura del Centro Studi di Archeologia Mediterranea di Enna nel 2009.
L'insediamento si apre ai piedi di un ripido costone roccioso delimitante a sud l’area del lago Stelo, bonificato negli anni ’30 del secolo scorso. Lungo le pareti di tale costone si conservano i resti di una necropoli con tombe a grotticella, oggi impossibile da raggiungere a causa dei crolli subiti dalla parete. Il sito, attraversato dal tracciato della S.S. 290, è posto su terreni argillosi che degradano dolcemente verso il fiume Morello: nel corso degli ultimi decenni questi sono stati arati meccanicamente, con una parziale distruzione dei livelli archeologici più recenti.
Nel corso delle prime due campagne di scavo sono stati aperti due saggi, uno nell'area Alfa, posto nella parte settentrionale del sito lungo il pendio risparmiato dalle arature, e il secondo nell'area Beta, 15 metri più a sud, al centro del pianoro principale del sito. Nel primo la fase più antica, non ancora indagata perchè coperta dalle fasi più recenti, è rappresentata da una capanna visibile in minima parte solo lungo la sezione creata dalle arature, struttura che per tipologia costruttiva trova confronti con la Capanna 1 di Tornambè (Pietraperzia). Al di sopra di questa si installa un’area artigianale connessa con attività metallurgiche, databile sempre al rame finale (2700-2300 a.C.): il repertorio ceramico è attribuibile alla facies di Malpasso-S. Ippolito, rinvenuto in associazione con diversi frammenti incisi pertinenti vasi del Bicchiere Campaniforme e alcuni frammenti attribuibili ai tipi più antichi della facies eoliana di Capo Graziano.
Nella parte centrale dell'area indagata si conserva un battuto pavimentale in argilla coperto da uno strato di argilla cotta ad alta temperatura: qui sono stati messi in luce una serie di pozzetti intonacati in argilla, uno dei quali è stato sigillato con la deposizione di una coppa su basso piede dipinta nello stile di S. Ippolito e di un'altra coppa acroma, entrambe rotte intenzionalmente. In questi livelli è stato rinvenuto il frammento di una forma di fusione fittile monovalva, utilizzata per produrre asce piatte e un frammento pertinente un crogiuolo fittile ingubbiato in rosso del tipo ad immanicatura quadrangolare, simile ad esemplari provenienti dal Mediterraneo centrale.
Immediatamente ad Est di tale battuto, all'interno di un'area delimitata dai resti di un piccolo muro semicircolare è stato quindi messo in luce un complesso sistema di fornaci usate per attività fusorie. La fornace più antica rinvenuta è costituita da una piastra circolare, dal diametro di circa 1,20 m, che presenta al centro un pozzetto intonacato simile a quelli rinvenuti sul vicino battuto pavimentale. La piastra era quindi delimitata per tutta la sua circonferenza da una bassa spalletta che serviva a contenere sia il combustibile, costituito probabilmente da legna e carbone, ossa di animali e forse zolfo, materiale quest'ultimo ampiamente disponibile nell'area, che la materia prima da fondere: al termine del procedimento, liberata la fornace dai residui rimasti, era possibile raccogliere il metallo fuso dal pozzetto centrale. Dopo un certo periodo d'utilizzo, gli antichi fabbri hanno avuto la necessità di ristrutturare la fornace, costruendone una nuova, delle stesse dimensioni e della stessa forma, impostandola direttamente su quella più antica. L'intero complesso era circondato da uno spesso strato di argilla vetrificata a causa delle alte temperature raggiunte durante il processo di fusione, collocata intorno alla fornace probabilmente per impedire la dispersione del calore necessario.
Dopo un breve momento di pausa l’area venne rioccupata tra la fine del III e l'inizio del II mill. a.C., periodo a cui sono attribuibili due strutture in muratura, le Capanne 2 e 3. La capanna 2, la più recente, è posta nella parte alta del pendio risparmiato dai lavori agricoli e continua al di sotto di una strada carrabile sterrata. All’interno della struttura, di forma pseudo-ellittica, è stato rinvenuto un forno in argilla all’interno del quale vi era poggiato un orciolo acromo con ansa a cappio integro. Tutti i materiali ceramici rinvenuti all’interno della struttura sono attribuibili ad una fase evoluta della facies di Castelluccio. Di notevole interesse il rinvenimento sul battuto pavimentale di questa capanna di un crogiuolo fittile, a testimonianza che l’attività metallurgica continua ancora in questa fase avanzata del bronzo antico.
Nell'area Beta, invece, sono stati indagati livelli databili ad una fase antica del bronzo antico, in parte disturbati dalle arature recenti e da uno scarico di età altomedievale. Qui è stata individuata la Capanna 1, databile alla fine del III millennio a. C.: la struttura, lunga circa 12 m e larga 4 m, è incassata nel terreno e presenta pianta ovale. Al suo interno è stato possibile distinguere due diverse fasi di vita succedutesi a breve distanza una dall'altra. La fase più recente è stata pesantemente danneggiata dalle recenti arature: se ne conservano infatti solo lacerti del battuto e il crollo dell’intonaco e della copertura in argilla concotta. Quella più antica si conserva ancora in buone condizioni: il battuto pavimentale, posto a circa 50-60 cm sotto il piano d'uso esterno, è costituito da un livello d'argilla ben steso; lungo il perimetro interno si conservano tracce del muretto in pietra che doveva formare la base su cui si elevava l'alzato ligneo, sostenuto da pali infissi in buche disposte perimetralmente. Sul piano di calpestio si conservano i resti di due focolari costituiti da piastre d'argilla, mentre nell'abside occidentale si conserva un forno con copertura in argilla. Entrambe le fasi costruttive hanno subito un forte incendio, con la conseguente cottura dello spesso strato di intonaco in argilla steso sulle pareti sul tetto della struttura, evento che ha causato la formazione di una grande quantità di concotto su cui sono evidenti le impronte di pali di diverse dimensioni che dovevano costituire lo scheletro portante della copertura. Insieme con la ceramica castellucciana sono stati rinvenuti una grande quantità di pesi da telaio e di fuseruole, evidenza che qui parte delle attività quotidiane, dalla cottura dei cibi alla tessitura, dovevano avvenire all'interno dell'abitazione.
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